Capitolo 14 - Equilibrio

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vikycullen
view post Posted on 16/2/2011, 00:22




Era già mattina, indossai una maglia marrone, era più facile mimetizzarsi e mi sembrava mi desse
un aspetto più umano - non che di solito ci prestassi grande attenzione, in realtà. Corsi attraverso la
foresta per raggiungere casa di Bella. Oggi, aveva vinto, avrebbe guidato lei, era questo il
compromesso al quale eravamo giunti: tra tutte le cose che dovevano terrorizzarla di me, lei aveva
paura della mia guida, e aveva insistito affinché la gita di oggi prevedesse il pick-up, con i suoi 80
Km/h e lei alla guida. Questa immagine era davvero paurosa.
Bussai lievemente alla porta, mentre sentivo i suoi passi veloci correre sulle scale. Mi chiedevo se
fosse riuscita ad arrivare alla porta prima di inciampare e rotolare giù. Ma sembrò che fosse
sopravvissuta.
Bella aprì la porta e iniziò ad osservarmi. Stesi le labbra in un ampio sorriso, oggi era meravigliosa,
ancora più del solito, se questo fosse possibile.
“Buongiorno” la salutai sorridendo. Indossavamo gli stessi vestiti. Una felpa marrone, con colletto
chiaro, e jeans. Sebbene la felpa fosse un po’ ampia, senza dubbio comoda - Bella era una persona
pratica - il colore le donava al viso: il colletto chiaro aumentava la luce del contrasto tra quella pelle
chiara e il marrone scuro.
“Cosa c’è che non va?” mi chiese perplessa.
“Stessa divisa” le feci notare sghignazzando.
Mi avvicinai lentamente, e ancora dubbioso, al pick-up. Non ero sicuro di aver fatto bene a cedere.
Avremmo impiegato molto più tempo: in condizioni normali non mi sarebbe dispiaciuta l’idea di
passare del tempo in macchina con Bella, ma oggi, con la prova che mi aspettava, ero decisamente
impaziente.
“Gli accordi sono accordi” precisò compiaciuta. “Dove andiamo?”
“Allaccia la cintura, sono già nervoso” come minimo bucheremo la ruota, poi finiremo fuori strada
e infine ci verrà addosso un camion. Almeno il pick-up è solido, ma di sicuro piomberà dal suo lato.
Obbedì immediatamente, poteva anche lei vedere la stessa scena?
“Dove?” insistette.
“Prendi la centouno, verso nord” le spiegai.
Teneva il volante ben saldo tra le mani, era leggermente piegata in avanti, il suo petto quasi lo
sfiorava. Ogni suo muscolo era teso e fissava dritto davanti a sé totalmente concentrata. Ma
soprattutto, guidava incredibilmente lenta. La mia tensione aumentava, ma era così buffa che non
potei trattenermi dal stuzzicarla.
“Pensi di farcela, a uscire da Forks prima di sera?”
“Questo pick-up potrebbe essere il nonno della tua auto, abbi rispetto” mi rispose tra il serio e l’ironico.
Dopo un tempo che fu per me interminabile, finalmente vidi il paesaggio trasformarsi, ci stavamo
avvicinando al punto in cui dovevamo svoltare.
“Svolta a destra verso la centodieci” anticipai e quando voltò le dissi di proseguire finché non
avesse trovato lo sterrato.
“E quando arriva lo sterrato cosa c’è?” mi chiese curiosa.
“Un sentiero” risposi senza aggiungere altro.
“Trekking?” la sua voce si fece preoccupata.
“E’ un problema” le chiesi.
“No” mentì.
“Non preoccuparti” la incoraggiai “Sono solo sette o otto chilometri, e non abbiamo fretta”.
La vidi incupirsi e diventare silenziosa. A cosa stava pensando? Perché non parlava? Aveva qualche
ripensamento?
“A cosa pensi?” chiesi.
“A dove stiamo andando” disse senza alzare lo sguardo.
“In un posto in cui mi piace stare quando c’è bel tempo” risposi concentrandomi sulle nuvole.
“Charlie diceva che sarebbe stata una giornata calda” spezzò quel breve silenzio.
“E tu gli hai raccontato quali erano i tuoi piani?” la interrogai nella speranza che avesse cambiato
versione.
“No” sussurrò colpevole.
“Ma Jessica crede che stiamo andando a Seattle assieme” cercai di rassicurarmi.
“No, le ho detto che hai annullato la gita.. il che è vero” cercò di giustificarsi.
“Nessuno sa che stai con me” mi irritai dall’inquietudine.
“Dipende.. immagino che tu l’abbia detto ad Alice” cercò di farmi infuriare.
“Questo sì che è d’aiuto” dissi con sarcasmo.
Nessuno era a conoscenza della nostra giornata assieme. Possibile che non desiderasse sentirsi più
sicura? Che non volesse dirlo a nessuno? Non mi temeva? Io ero terrorizzato!
“Forks ti deprime così tanto da farti contemplare il suicidio?” le chiesi arrabbiato.
“Sei stato tu a dire che per te poteva essere un problema.. farci vedere assieme” sbottò.
Ero stato io? Lo avevo detto davvero io? Certo che l’avevo detto, ma non era quello il significato.
Non mi riferivo a questo momento. Adesso desideravo un testimone, che l’intera città sapesse. Che
il mondo intero sapesse. Possibile che pure ora, che la sua vita era in pericolo, dovesse pensare ai
problemi che avrei avuto io se… se.. non volevo pensare a quell’eventualità.
“Così saresti preoccupata dei guai che potrei passare io.. se tu non torni a casa?” cercai di usare le
parole più delicate possibili per esprimere quell’orrendo concetto, ma doveva capire che il pericolo
era evidente.
Lei si limitò ad annuire.
“Sì, devo proprio riconsiderare l’opzione dello specialista mentale” sussurrai tanto veloce che non
poté capire.
Non potevo sopportare che fosse tanto incosciente. Come poteva pensare a me, quando la sua vita
era in gioco. Nessuna calamità che le si fosse mai avvicinata era stata per lei una prova pericolosa,
tanto quanto la mia compagnia di oggi. Non ero mai stato tanto nervoso e arrabbiato, da quando mi
ero trasformato in immortale. Queste sensazioni non appartenevano più al mio mondo, in fondo non
ero più vulnerabile e non avevo motivo di partecipare a discussioni, non avevo più motivo di temere
qualcosa. Ma adesso mi ero imbattuto nell’essere più fragile ed irresponsabile del pianeta e, come
se non bastasse, questo essere era ormai diventato la cosa più importante della mia esistenza. Mi
sentivo più umano di lei, più fragile di lei, in quanto lei sembrava non curarsi di quei pericoli che
invece a me erano fin troppo chiari.
Preferii rimandare le mie domande. Al momento dovevo solo concentrarmi e, soprattutto, se avessi
parlato, se anche solo mi fossi voltato a guardarla, l’avrei terrorizzata, con i miei occhi color pece.
Arrivammo al sentiero e Bella parcheggiò. Più per un automatismo, che per una vera sensazione di
calore, mi tolsi la felpa. E così fece anche lei, mostrando una camicetta senza maniche, che accompagnava le curve di quel suo fragile corpicino. Era bellissima. Quella visione riuscì a
tranquillizzarmi abbastanza da parlare.
“Da questa parte” dissi con un tono che tradiva il mio nervosismo.
Mi addentrai nella foresta, facendo strada. Era davvero una buona idea portarla tra i boschi per tutta
quella strada? Capace com’era di farsi male persino su una superficie piatta avrebbe rischiato di
inciampare e farsi male al primo ramoscello che avesse incontrato. Tuttavia non potevo ancora
permettermi di portarla, l’avrei terrorizzata se fosse venuta sulle mie spalle a quella velocità per lei
inconcepibile. E sembrava decisamente non apprezzare la velocità, ovviamente, da come mi aveva
imposto la tortura del suo pick-up. Era meglio fare un piccolo passo per volta, nel mostrarle le mie..
abilità.
“E il sentiero?” chiese tradendo un lieve panico. Era giunta alle stesse mie considerazioni.
“Ho detto che alla fine della strada avremmo incontrato un sentiero, non che lo avremmo percorso”
ironizzai.
“Niente sentiero?” si disperò.
“Non ci perderemo, fidati” cercai di tranquillizzarla.
Potevo leggere sul suo volto una grande paura. Forse finalmente iniziava a realizzare il pericolo che
stava correndo e si pentiva di aver nascosto a tutti della nostra gita privata.
“Vuoi tornare a casa?” cercai di darle un’altra possibilità.
“No” disse insicura, accelerando il passo per avvicinarsi a me.
“Cosa c’è che non va?” mi straziai.
“Il trekking non è il mio forte, purtroppo. Ti toccherà essere molto paziente” sottolineò.
“So essere molto paziente.. se mi sforzo” sorrisi. Un tempo non era proprio la mia qualità migliore,
ma stando accanto a lei ebbi occasione di allenarmi molto.
Mi persi nei suoi occhi castani. Era la creatura più bella che avessi mai visto, anche con quell’aria
maldestra riusciva a sprigionare un’incredibile grazie. Mi sorrise, di un sorriso che non sembrava
sincero.
“Ti porterò a casa” pensai ad alta voce. Potevo cambiare il futuro. Ormai ero abituato al suo odore.
Ormai stavamo assieme così a lungo che non mi accorgevo più del veleno che ardeva la gola.
“Se vuoi che io riesca a percorrere otto chilometri nella giungla prima che il sole tramonti, è il caso
che tu faccia strada da subito” disse acida, spezzando i miei pensieri.
La guardai, adesso sembrava che ogni sua insicurezza fosse svanita, eppure oggi la preferivo
quando era in allerta. Quando la paura le velava lo sguardo.
Proseguii per la strada, cercando di agevolare il passaggio di Bella, eliminando quanti più ostacoli
riuscissi.
Arrivammo in prossimità di un albero caduto. In pochi istanti dovetti prendere una decisione: qual
era il peggiore dei mali? Terrorizzarla, mostrandole parte della mia forza, e quindi alzare il tronco e
lanciarlo via, oppure allungarle la mia mano ghiacciata, che l’avrebbe fatta sussultare?
Decisi per la mano, in fondo sapeva già della mia temperatura e di quanto fosse dura. Al ristorante
l’aveva persino cercata.
Le allungai la mano e vidi che non esitò ad accettare il suo aiuto. Il calore della sua pelle e il caldo
sangue che scorreva sotto a quel velluto mi bruciarono il palmo, come la prima volta che per errore
ci eravamo sfiorati nell’aula di biologia. La fissai e non ebbe reazioni evidenti, se non una forte
accelerazione del battito cardiaco. Cosa significava? Paura al ricordo di quanto poco umano fossi?
O forse - volevo sperarlo - quella reazione era umana quanto quella delle sue compagne di scuola,
della signorina Cope e di Jessica. Mi desiderava?
Altre volte dovetti aiutarla, ma il gesto di allungarle la mano divenne automatico. Ormai era
collaudato e sembrava non dispiacerle.
Per spezzare il silenzio, che le concedevo – lei doveva respirare, a differenza di me – di tanto in
tanto le facevo qualche domanda: quando era il suo compleanno, solitamente come lo festeggiava –
e ovviamente le sue risposte confermavano quanto non le piacesse ricevere troppe attenzioni – le
piaceva la scuola a Forks?, Com’era prima la scuola a Phoenix, dove seguiva le classi avanzate?
Aveva mai avuto animali domestici? Mi raccontò della spiacevole fine dei suoi pesci rossi,
causandomi una reazione di improvvisa ilarità, che manifestai con una sonora risata.
Il tempo trascorse in fretta e ormai eravamo quasi arrivati alla radura, dove non avrei più celato il
mostro che c’è in me. Le avrei dimostrato, che nonostante le apparenze, non c’era niente di umano
in me. Il cielo si schiariva, proprio mentre ci avvicinavamo. Alice è infallibile sul meteo. In fondo
questo tipo di futuro non dipende da una sciocca mente che cambia idea improvvisamente. È
semplicemente sicuro. Stabilito. Le correnti si incontrano, i venti soffiano, le nuvole si muovono e
si scontrano con l’aria e da lì nascono la pioggia, la neve, i temporali, gli uragani. O semplicemente
i venti diradano le nuvole, ed ecco il sole. Cosa avrei dato per avere un minimo di quella certezza,
sapere che il futuro di Bella sarebbe cambiato e che le previsioni di Alice la mostravano invecchiare
felice, in un futuro immutabile.
“Non siamo ancora arrivati?” Bella spezzo il silenzio con impazienza.
“Quasi” sorrisi “Vedi che laggiù c’è più luce?” le indicai la direzione.
“Ehm, dovrei?”
Avevo dimenticato quanto offuscati fossero gli occhi umani.
“In effetti, forse è un po’ presto per i tuoi occhi umani” ridacchiai.
“Mi ci vuole una visita dall’oculista” si preoccupò.
Arrivava sempre alle considerazioni più sbagliate. Non ero io ad avere una super vista, ma lei che
non ci vedeva abbastanza bene. Ne sorrisi.
Finalmente sembrò aver visto la radura e iniziò a correre, superandomi. Bella entrò nella
nell’illuminato verde, e iniziò a guardarsi attorno, il cielo splendente, l’erba verde, la vidi
soffermarsi come per ascoltare il ruscello, girava attorno a se stessa, come una bambina felice.
Il sole illuminava il suo volto, facendo risaltare tutti i suoi lineamenti. I capelli mostravano delle
tinte inaspettate, di un rosso rame.
Feci un balzo e mi nascosi all’ombra degli enormi alberi che definivano il contorno della radura.
Attesi che Bella si ricordasse il motivo per il quale l’avevo portata qui, ma non volevo interrompere
quella gioia quasi infantile, solo lei era capace di godere di certe bellezze con occhi sempre nuovi.
Ad un certo punto la vidi fermarsi e voltarsi verso la strada che avevamo percorso, probabilmente
per cercarmi. Si guardò in giro, finché non mi vide. A passi lenti e curiosi, si avvicinò verso di me,
la mia immagine oscurata dall’ombra.
Non ero più sicuro che fosse una buona idea mostrarmi, ma ormai sapevo che non sarei riuscito a
trattenere la sua curiosità. Le feci segno di non avvicinarsi ulteriormente.
Presi un profondo respiro - sentendone quasi l’esigenza, come quando ero umano: in qualche modo
quel gesto mi dava coraggio – e mossi un passo in avanti, in attesa che il sole colpisse la mia pelle.
Feci un passo, e sentii subito i raggi colpire la mia pelle. Non smisi un solo istante di fissare bella,
che non osava muoversi, come ipnotizzata mi fissava con la bocca socchiusa. Era impossibile capire
cosa stesse pensando di quel luccichio della mia pelle. Era come pietrificata. Di paura? In realtà non
sembrava impaurita, al contrario – forse era solo ciò che volevo – pareva esserne affascinata.
“Sembra che la tua pelle sia formata da miliardi di diamanti” sussurrò a malapena.
Mi tranquillizzai e mi sdraiai sulla soffice erba, che si piegò sotto al mio peso, rimodellandosi
attorno a me. Sbottonai la camicia e mi lasciai andare alla tranquillità di quel posto, che adesso
sembrava quasi diventare incantato, per la magia che avvolgeva me e Bella.
Lei si sedette vicino a me, rannicchiata con il mento sulle ginocchia, e mi fissava.
Chiusi gli occhi, e iniziai a ricordare una vecchia canzone che mia madre usava cantarmi quando da
bambino mi portava nei boschi vicino a Chicago:
Quo quidem motu Sol, Luna, et astra caetera oriuntur, occidunt, et revolutiones perficiunt quotidie.
Alter vero motus fit ab occasu in ortum super axe, polisque obliqui circuli, qui zodiacus dicitur: per
cuius semitam Sol, et astra caetera non iisdem temporum spaciis deferuntur.
La melodia che accompagnava quelle parole era dolcissima, e il latino gli aggiungeva un non so che
di mistico. Mia madre era stata una persona colta, insegnante di filosofia, amante della cultura greca
e latina, cercava di infondermi quanta più conoscenza potesse.
“Come mai stai muovendo le labbra? Stai tremando?” interruppe quei brevi ricordi di vita umana.
“No” sorrisi “Sono spensierato e canticchiavo. Solo che tu non puoi udire un tono tanto basso”.
“Ah” rispose, e riprese a fissarmi affascinata.
Le fui grato di non aver indagato, avrebbe significato aprire una serie infinita di domande sulla mia
vita passata, e non so se avrebbe potuto accettare che ormai quasi tutti i miei ricordi erano svaniti
con il passare dei decenni.
Richiusi gli occhi e mi abbandonai al profumo dell’aria. Ora che lo spazio era aperto, quella
magnifica essenza rilasciata dalla sua pelle si diluiva e non bruciava più forte in gola,
permettendomi di apprezzare ancor di più – se possibile – quel delizioso profumo.
Udii l’aria spostata dalle dita di Bella, scivolarono sulla mia mano. Potevo toglierla, ma non lo feci,
ormai oggi avevamo avuto diversi contatti simili.
Le sue dita m accarezzarono il dorso, riscaldandolo.
Aprii gli occhi, e Bella stava guardando ancora la mia mano brillante. I suoi occhi si mossero
nuovamente sul mio viso e tesi le labbra in un sorriso.
“Non ti faccio paura?”chiesi scherzoso, cercando di rassicurarmi.
“Non più del solito” rispose ironica.
Sorrisi di gioia e mi rilassai nuovamente. Il suo dito iniziò a muoversi sul mio avambraccio. Quella
sensazione di leggero solletico mi donava una pace straordinaria. I miei impulsi meno umani erano
messi a freno, ma nuove emozioni, che da qualche settimana iniziavo a conoscere, si fecero strada e
quel contatto sembrava essere una piccola risposta ai miei desideri.
La sua mano tremava, provava anche lei le mie stesse emozioni? Sono sicuro che, se avessi potuto,
avrei tremato anche io al suo tocco vellutato.
“Ti dà fastidio?” chiese preoccupata.
“No” sorrisi “Non hai idea di come mi senta” le confessai.
Mentre le sue dita continuavano a salire percorrendo il mio braccio fino al gomito, intuii che l’altra
sua mano cercava la mia. Impulsivamente mossi la mia mano verso la sua, ma senza moderare la
velocità. L’avevo spaventata, mi accorsi, le sue dita erano ora immobili sul braccio.
Non avrei mai pensato di riuscire a rilassarmi a tal punto da dimenticarmi di moderarmi. Non
riuscivo ad essere così naturale nemmeno con i miei fratelli, in fondo ero sempre attento ad
ascoltare o ad isolarli per non invadere la loro privacy. Non potevo mai semplicemente pensare,
senza che Alice condividesse con me i risultati dei miei pensieri. Con Bella era differente..
“Scusa” mormorai “E’ troppo facile essere me stesso vicino a te”.
Sollevai la sua mano alla luce del sole, la sua pelle prendeva adesso delle sfumature di colori unici,
più rosata in alcuni punti, perlacea in altri, era vellutata e compatta. Giravo e rigiravo la mano per
non perdermene nemmeno un dettaglio. Ogni singola molecola del suo corpo irradiava una scarica
di emozioni a me sconosciute
“Dimmi cosa pensi” le sussurrai “Mi sembra ancora così strano, non riuscire a capirlo”.
“Noi comuni mortali ci sentiamo sempre così, sai?” disse con ironia
“Che vita dura” rinuncerei immediatamente alla mia immortalità per poter provare di nuovo tutte
quelle insicurezze umane.
“Non hai risposto” la spronai.
“Mi chiedevo cosa stessi pensando tu..”
“E?” la frase mi sembrava incompleta.
“E desideravo poter credere che tu fossi vero. E mi auguravo di non aver paura”.
“Non voglio che tu abbia paura” mi dispiacqui.
“Bè, non è esattamente quella la paura che intendevo, malgrado sia un aspetto da non trascurare”
Finalmente lo aveva capito? Ma di quale paura parlava, allora?
Mi alzai di scatto e mi avvicinai al suo viso fissandola negli occhi.
“E allora, di cosa hai paura?” chiesi serio.
Invece di allontanarsi lei si avvicinò ulteriormente al mio viso, come per annusarmi, ma anche il
mostro la annusò e adesso la forza per mantenere quella distanza veniva a mancare. Il mostro si era
impossessato di me, delle mie reazioni. In un istante lo sconforto mi avvolse, vidi avverarsi le
previsioni di Alice, potevo quasi sentire i miei denti che affondavano nella sua morbida carne, in
quel collo incredibilmente vicino, con l’arteria che pulsava il suo sangue caldo nella mia bocca. Era
davvero finita? Avrei ucciso il mio amore? L’immagine mi fece quasi rabbrividire e bastò a farmi
riprendere il controllo. O quasi. Ero balzato ad una decina di metri di distanza da lei, i miei muscoli
rigidi come roccia scolpita.
Bella non fece in tempo a rendersi conto della mia reazione e alzò lo sguardo per cercarmi, con
un’espressione scioccata e insieme addolorata.
“Mi.. dispiace.. Edward” quasi balbettò con un sussurro appena udibile persino per me.
Io rimasi immobile, cercando di recuperare la forza e il coraggio di avvicinarmi di nuovo.
“Dammi solo un momento” la pregai.
Appena ritrovai la forza di muovermi, mi avvicinai a passi lenti, per rassicurarla, ma lasciai che
qualche metro di distanza ci dividesse. Il mostro era ancora troppo sveglio.
Inspirai profondamente due volte, lasciando che il suo odore ardesse la mia gola, quasi per punirmi
di quei pensieri che mi avevano attraversato la mente, e soddisfatto del rinnovato autocontrollo mi
sdraiai e le sorrisi.
“Mi dispiace tanto. Capiresti cosa intendo se ti dicessi che la carne è debole?”.
Bella annuì, mantenendo la sua espressione triste. Mi fissava, potevo finalmente leggere la sua
paura negli occhi, ma era immobile, quasi incantata da me. Respirava profondamente, quasi a
cogliere il mio odore. Era affascinata dal pericolo.
Provai a spiegarle, amareggiato, cosa le stava accadendo:
“Sono il miglior predatore del mondo, no? Tutto di me ti attrae: la voce, il viso, persino l’odore.”.
“Come se ce ne fosse bisogno!” scattai in piedi, mentre stavo quasi urlando, arrabbiato con me
stesso.
Iniziai a correre, sapendo che non sarebbe riuscita più a vedermi, poi tornai sotto l’albero che vi
aveva nascosto dalla luce e mi fermai, affinché potesse vedermi.
“Come se tu potessi sfuggire” affermai con cattiveria, un ghigno maligno sul mio viso.
Afferrai, in preda ad una specie di frenesia, il primo ramo che mi capitò tra le mani e lo scagliai
contro un altro abete, contro il quale si sbriciolò.
Adesso desideravo davvero spaventarla. Se era decisa ad amarmi, doveva sapere cosa si celava
dietro alla mia apparenza.
“Come se potessi combattere ad armi pari” aggiunsi, dopo la dimostrazione, questa volta il mio tono
si fece più delicato, avevo razionalizzato il mio intento e potevo leggere nei suoi occhi che, questa
volta, avevo raggiunto l’effetto desiderato. Aveva davvero paura.
Aveva troppa paura, mi ero spinto troppo oltre. Adesso temevo di perderla. Sarei tornato solo, come
ero stato nell’ultimo secolo. Ma ancor peggio, avrei sofferto un amore, l’unico amore, per l’eternità.
“Non avere paura” sussurrai attento al tono della mia voce.”Prometto.. giuro che non ti farò del
male” cercai di rassicurarla, o forse di convincere me stesso.
“Non avere paura” le ripetei, mentre mi avvicinavo a lei, attento a tutti i movimenti del mio corpo,
facendo attenzione che il mostro continuasse a dormire.
Mi sedetti e lentamente avvicinai il mio volto al suo. Pochi centimetri ci separavano, ma se non mi
avesse più sorpreso, ero sicuro di poter gestire anche quella lieve distanza.
“Per favore, perdonami” la pregai. “Sono capace di controllarmi. Mi hai preso in contropiede. Ma
adesso sarò impeccabile”.
Non ebbi risposta. Bella sembrava una statua di cristallo, pronta a spezzarsi al mio primo sospiro.
“Sul serio, oggi non ho così tanta sete” le strizzai l’occhio, cercando di cambiare la direzione dei
nostri umori.
Rise debolmente.
“Stai bene” le chiesi dolcemente mentre le offrivo la mia mano.
Accettò la mia offerta e riprese a giocherellare col dito sul dorso della mano. Finalmente alzò lo
sguardo, accompagnato da un sorriso sincero.
Le sorrisi a mia volta. Non avrei sperato veramente nel suo perdono. Avevo paura di avere
oltrepassato il limite. Me lei era sempre pronta a superare ogni mia escandescenza.
“Cosa stavamo dicendo, prima che mi comportassi in maniera così sgarbata?” chiesi con voce
gentile.
“Sinceramente non ricordo”.
Sorrisi per celare l’inevitabile imbarazzo per la scenata che avevo appena concluso.
“Credo che stessimo parlando di ciò che ti mette paura, a parte le ragioni più ovvie” le ricordai,
ancora curioso.
“Ah sì” si limitò a dire.
“Allora?” insistetti.
Non rispose, ma rincominciò a creare disegni astratti sulla pelle della mia mano. I secondi
sembravano interminabili. Strano avere la percezione dei secondi, quando per me non contavano
più nemmeno gli anni, prima di conoscere lei. Cercavo di trattenermi dal starle così vicino. Ma il
suo delicato tocco mi faceva desiderare di avvicinarmi sempre di più, di poterla sfiorare a mia volta,
di sentire quella pelle calda e invitante sul palmo delle mie mani, di sentire il suo corpo sul mio, le
labbra, quelle splendide labbra rosa, appoggiarsi alle mie e modellarsi assieme, i nostri respiri che si
confondevano…
“Come è facile vanificare i miei sforzi” pensai ad alta voce.
La guardai negli occhi, e il mio cuore immobile, sembrò sussultare.
“Avevo paura perché.. per, ecco, ovvi motivi, non posso stare con te.Ma d’altro canto vorrei stare
con te molto, molto più del lecito” confessò, senza alzare lo sguardo dalle sue mani.
Adesso il mio cuore era decisamente umano, sono certo di averlo sentito battere. Non poteva essere
altrimenti. Non potevo avere reazione diversa. È vero, sapevo già cosa provava, ma lo aveva
inconsciamente confessato, ma adesso mi stava dichiarando molto, molto di più. Troppo.
“Sì” iniziai a parlare facendo molta attenzione alla scelta delle parole. “Non c’è dubbio, è una paura
legittima, voler stare con me. È tutto fuorché una scelta vantaggiosa” non potrai mai avere un
rapporto normale con me… mi rattristai.
Il suo sguardo torvo non si staccava dai miei occhi.
“Avrei dovuto lasciarti perdere molto tempo fa” sospirai. “Dovrei lasciarti adesso. Ma non so se ci
riuscirei” non avevo la forza di sopravvivere lontano da lei.
“Non voglio che tu mi lasci”mi pregò abbassando lo sguardo.
“Il che è precisamente la migliore ragione per andarmene. Ma non preoccuparti, sono una creatura
essenzialmente egoista. Desidero troppo la tua compagnia per comportarmi come dovrei” mi
infuriai con me stesso alla mia dichiarazione.
“Ne sono lieta” rispose.
“Non esserlo!” dissi aspramente e ritrassi la mia mano dalla sua. “Non è solo la tua compagnia che
amo! Non dimenticartelo mai. Non dimenticare mai che sono più pericoloso per te che per chiunque
altro” le ricordai, con un tono che speravo amplificasse il mio avvertimento.
“Non credo di aver capito cosa intendi, specialmente l’ultima frase” mi rispose.
Mi mancavano le parole per spiegarle cosa intendessi. Come potevo farle capire che non c’era al
mondo odore che potesse stimolare maggiormente i miei istinti di predatore? Come potevo non
terrorizzarla, dicendo che dentro di me c’era un mostro che altro non desiderava se non il suo
sangue?
“Come faccio a spiegartelo senza metterti di nuovo paura.. vediamo” cercai di concentrarmi per
pensare ad un buon paragone, qualcosa che la aiutasse a capire.
Mi accorsi che mi aveva preso nuovamente la mano e il suo calore la riscaldava, riscaldando anche
il mio cuore ghiaccio.
“E’ straordinariamente piacevole il calore” sospirai.
Immaginai un modo dolce di spiegarle i miei istinti “Hai presente, i gusti delle persone? Ad alcune
piace il gelato al cioccolato, ad altre la fragola?”
Annuì.
“Scusa l’analogia con il cibo, non trovo metafora migliore” speravo di non averla spaventata a quel
pensiero.
Mi sorrise imbarazzata, ma almeno non terrorizzata.
“Vedi, ogni persona ha un suo odore, un’essenza particolare. Se chiudessi un alcolizzato in una
stanza piena di lattine di birra sgasata, le berrebbe senza badarci. Se invece fosse un alcolista
pentito, se decidesse di non berle, potrebbe riuscirci facilmente. Ora, se poniamo nella stanza un
solo bicchiere di liquore invecchiato cento anni, il cognac migliore, il più raro di tutti, che diffonde
ovunque il suo profumo…. Come credi che si comporterebbe il nostro alcolizzato?”
Mi guardò fissa negli occhi, senza parlare, cercando di cogliere l’analogia. Dal suo sguardo capii
che riusciva ad afferrare il concetto, ma restava ancora titubante. Avevo bisogno di una metafora
più forte. Un’immagine di debolezza migliore, per spiegare cosa il mio mostro volesse da lei.
“Forse non è la metafora migliore. Forse rifiutare il cognac sarebbe facile. Forse dovrei trasformare
il nostro alcolista in un eroinomane” provai a spiegare.
“Cioè, vorresti dirmi che sono la tua qualità preferita di eroina?” disse, capendo perfettamente il
concetto.
“Ecco, tu sei esattamente la mia qualità preferita di eroina” le confermai.
“Succede spesso?” mi chiese curiosa, quasi lusingata.
Non sapevo, le avrei detto ciò di cui ero a conoscenza “Ne ho parlato con i miei fratelli, secondo
Jasper, siete tutti uguali. È stato l’ultimo a unirsi alla nostra famiglia e l’astinenza lo fa soffriree
ancora molto. Non ha ancora imparato a distinguere tra i diversi odori e sapori” mi ero lasciato
andare troppo.
“Scusa” mormorai con imbarazzo per quella spiegazione troppo dettagliata.
“Non importa, ti prego, non preoccuparti di offendermi, di spaventarmi o di qualsiasi altra cosa. È il
tuo modo di ragionare. Riesco a capire, o perlomeno posso provarci. Però, ti prego, spiegami tutto
come puoi”.
Non smetteva mai di sbalordirmi con la sua calma e con i suoi tentativi di accettare una realtà così
incomprensibile e temibile. Voleva solo capire. Alzai gli occhi verso il cielo, notando come il sole
avesse iniziato ad abbassarsi. Respirai profondamente il suo odore. No, senza alcun dubbio non
avevo mai provato nulla di simile prima d’ora.
“Perciò Jasper non ha saputo dirmi con certezza se gli sia mai capitato di conoscere qualcuna che
fosse..” come potevo spiegarmi, di nuovo, senza ferirla, ma soprattutto facendole capire quanto mi
attirasse a se’, in ogni singolo modo pensabile? “attraente come tu sei per me” conclusi. “Il che mi
fa ritenere che non l’abbia mai conosciuta. Emmett è dei nostri da più tempo, per così dire, e ha
capito cosa intendevo. A lui è capitato due volte, una più forte dell’altra” mi rabbuiai al pensiero di
come andò a finire per lui.
“E a te?” domandò, curiosa, come se mi stesse chiedendo di amori passati.
“Mai”
“Come si è comportato Emmett” chiese purtroppo.
Non avevo il coraggio di confessarglielo. Mi irrigidii e mi rabbuiai di nuovo. Non potevo dirglielo.
Guardai verso la foresta, cercai di distrarmi pensando al nostro ritorno. Chissà se avrebbe
apprezzato il mezzo di trasporto… Ma l’immagine che avevo letto nei pensieri di Emmett
continuava a perseguitarmi, non voleva lasciare la mia mente.
“Credo di aver capito” concluse.
Guardai il cielo, cercando un’immagine che mi distraesse da quella tragedia.
“Anche i più forti di noi possono smarrire la strada, no?” risposi, come se questa potesse essere una
giustificazione convincente. Di certo per me non lo era.
“Cosa stai chiedendo? Il mio permesso?” borbottò pungente. “Voglio dire, non c’è proprio
speranza, allora?” continuò con una calma innaturale. Riusciva a discutere della sua morte con il suo possibile carnefice. Mi stava forse autorizzando a rischiare? Mi stava chiedendo delle conferme
che non potevo in alcun modo darle? Secondo Alice non c’era speranza, ma io avrei cambiato il
futuro. Avevo bisogno di sperare, di crederci.
“No, no! Certo che c’è speranza! Voglio dire, è ovvio, non…” Non posso prometterlo.. è questo
chele avrei detto? La guardai dritta in quegli occhi da cerbiatto “Per noi è diverso” mi corressi
“Emmett… quelle erano sconosciute, incontrante per caso. È accaduto tanto tempo fa, e lui non
era… allenato e attento come ora” provai a rassicurarla.
Attesi la sua risposta, provando a leggere i suoi occhi, per capire la sua reazione. Ma non tradiva
alcuna emozione, non finché parlò.
“Perciò, se ci fossimo incrociati… in un vicolo buio, o qualcosa del genere…” la sua voce si ruppe
in un lieve sussurro.
“Mi ci è voluta tutta la forza che avevo per non assalirti durante la prima lezione, in mezzo agli altri
ragazzi e…” guardai verso la foresta, vergognandomi delle mie stesse affermazioni “Quando mi sei
passata accanto, ho rischiato di rovinare in un istante tutto ciò che Carlisle ha costruito per noi. Se
non avessi messo a tacere così a lungo la mia sete negli ultimi, bè, troppi anni, non sarei riuscito a
trattenermi” sprofondai nel panico al ricordo della sete del primo giorno, del mostro che pinificava
alla perfezione come uccidere Bella e con lei tutte le innocenti anime che avessero assistito.
Ricordai l’odio che mi accecava. Come avevo mai potuto odiare Bella?
“Avrai creduto che fossi posseduto dal demonio” la guardai torvo.
“Non riuscivo a capire come potessi odiarmi così, e perché poi, dal primo istante…”.
“Ai miei occhi eri una specie di demone, sorto dal mio inferno privato per distruggermi. L’ odore
soave della tua pelle.. Quel primo giorno ho temuto di perdere definitivamente la testa. In quella
singola ora ho pensato a cento maniere diverse di portarti via dall’aula, di isolarti. E mi sono
opposto a tutte, temendo le conseguenze che avrebbero colpito la mia famiglia. Dovevo scappare,
andarmene prima di pronunciare le parole che ti avrebbero obbligata a seguirmi….” La guardai
intensamente negli occhi, per vedere la sua reazione a tutta la mia confessione di colpevolezza.
Era sconcertata.
“Mi avresti seguita, te lo garantisco” cercai di spiegarle il potere che avevo di influenzare le menti
degli umani.
“Senza dubbio” rispose con apparente calma.
Continuai a raccontarle tutta la storia, tutto ci che era accaduto in quei primi giorni: lei che
piombava in segreteria, la mia corsa da Carlisle, la fuga dalla mia debolezza, l’Alansk -
trattenendomi dal raccontarle, in preda alla vergogna e disgusto per me stesso, di quanto sciocco
fossi stato a non pensare ai sentimenti di Tanya - la malinconia, il rinnovato coraggio
Avevo visto Bella rabbrividire più volte davanti alla consapevolezza del pericolo che l’aveva
sfiorata. I suoi occhi, a tratti, cambiarono espressione: curiosità. Altre vote, le peggiori di tutte, mi
compativa. Non tolsi lo sguardo dal suo viso nemmeno per un momento, sebbene quelle
dichiarazioni mi facessero vergognare di quanto debole in realtà fossi.
. Adesso sapeva tutto. Era perfettamente a conoscenza del pericolo che ho costituito per lei. Ma non
era più così, ormai mi ero abituato. Ora potevo gestire la sua vicinanza. Ma la scelta spettava
unicamente a lei. Mi sarei fatto da parte, se solo me lo avesse chiesto.
Continuai con la spiegazione, la mia ossessione verso di lei, causata dal fatto che non potevo
leggerle il pensiero, il mio ricorso a Jessica e Mike, la mia scelta, o meglio, istinto di salvarla
dall’essere schiacciata nell’incidente…
Lo sguardo di Bella sembrava perso nel vuoto, intimorito e affascinato, senza dubbio curioso. Pieno
di vergogna le raccontai delle conseguenze della mia azione, del litigio con Jazz, Rose ed Emmett,
di come li avessi messi in pericolo. Di come avessi dubitato di lei, e avessi ascoltato le menti di
tutta la scuola in attesa di sentire qualche pettegolezzo sull’accaduto. Infine, sentii il bisogno di
rassicurarla, dovevo darmi una possibilità. Le spiegai anche che mi sarei fatto meno problemi a
rovinare la mia famiglia quel primo giorno, piuttosto che farle del male adesso.
Finalmente Bella parlò: “Perché?” mi chiese, come se non fosse ormai ovvio.
“Isabella” diventai formale, e le mossi i suoi splendidi capelli castani, con i riflessi rossi, “arriverei
ad odiare me stesso, se dovessi farti del male. Non hai idea di che tormento sia stato… l’idea di te..
immobile, bianca, fredda… di non vederti più avvampare di rossore, di non poter cogliere più la
scintilla nel tuo sguardo, quando capisci che ti sto prendendo in giro… non sarei in grado di
sopportarlo” La fissai angosciato da quelle immagini che continuavano ad apparire nella mia mente.
“Ora sei la cosa più importante per me. La cosa più importante di tutta la mia vita”. Fui sicuro che
se solo avessi potuto, sarei arrossito alle mie parole. Il mio cuore avrebbe accelerato il battito
all’impazzata, se fosse stato qualcosa di più di una pietra. Forse una lacrima sarebbe scesa
dall’emozione.
Bella non alzò lo sguardo, che era fisso sull’intreccio delle nostre mani.
“Sai già cosa provo, ovviamente” rispose “Sono qui, il che in due parole, significa che preferirei
morire, piuttosto che rinunciare a te. Sono un’idiota”
“Cos il leone si innamorò dell’agnello” sussurrai..
“Che agnello stupido” sospirò
“Che leone pazzo e masochista” continuai.
Pazzo, a rischiare le nostre vite, che ormai erano inesorabilmente legate l’una all’altra; masochista,
perché stare vicino a Bella, significava soffrire.. soffrire per tutto ciò che non potevamo
condividere, per tutte le esperienze unicamente umane che non avrebbe vissuto, stando con me.
“Perché…” si interruppe
“Si?” le sorrisi
“Dimmi perché prima sei fuggito in un lampo da me”
Non era forse ovvio? Il mostro avrebbe avuto la meglio se non mi fossi allontanato... “Lo sai
perché”
“No, voglio dire, cosa ho fatto di preciso?”
Le spiegai che il problema riguardava i suoi movimenti improvvisi, inaspettati, la sua vicinanza,
specialmente del collo, sprigionava un calore e un profumo irresistibili e non poteva cogliermi
impreparato, se desiderava sopravvivere.
“D’accordo, niente collo scoperto” riuscì a scherzare, facendomi ridere.
La sfidai e avvicinai lentamente la mia mano al suo collo. La appoggiai lentamente, con attenzione,
e potevo sentire sotto la sua pelle il sangue che scorreva. La gola si infuocò, ma il mostro rimase a
bada. Ero in grado di toccarla, di sfiorare quella pelle, che pensavo fosse il mio frutto proibito.
Decisi di vedere fino a che punto potessi spingermi senza metterla in pericolo. Desideravo il
contatto con il suo corpo più di ogni altra cosa.
“Vedi? Nessun problema!” Iniziai a rassicurarla.
Il suo cuore batteva così forte che temevo potesse avere un infarto. Aveva smesso di respirare da
qualche secondo ed ero allarmato. Appena la sentii respirare di nuovo, le sussurrai di restare ferma.
Bella obbedì, sebbene paresse già paralizzata da prima.
Con estrema attenzione e lentezza mi avvicinai a lei, feci dei brevi respiri, inalando quell’odore…
quel profumo che mi faceva così male in gola, ma mi rendeva felice come non mai. Sentivo il suo
fiato arrivare alla mia bocca, era caldo e profumato, il respiro veloce e incostante. Decisi di
avvicinarmi ulteriormente. “Non muoverti” le ribadii. Feci scivolare la mia guancia lungo il suo
collo, sulla gola. Non osai più respirare, ero troppo vicino, Lentamente le mie mani scivolarono sul
suo collo, mentre la mia bocca si spostava sulle sue spalle. Il suo cuore sembrava impazzito.
Contrastava con l’immobilità del resto del corpo, Bella sembrava una di noi, per quella capacità di
non muovere nemmeno un muscolo per un periodo così prolungato. Lasciai scivolare il mio viso sul
suo petto, dove potevo ascoltare quel ritmo irregolare, che sembrava quasi suonare per me. Rimasi
in quella posizione a lungo, sentivo il cuore stabilizzarsi, per poi rincominciare a battere furioso,
forse al ricordo di qualche immagine che le avevo appena descritto. Avrei passato in quella
posizione il resto della mia esistenza. Sospirai.
Decisi che, quella che era stata la prova cruciale, era stata superata a pieni voti. Mio malgrado decisi
di alzarmi. Adesso ero davvero sereno. Le avevo svelato tutto. Lei mi aveva accettato. Aveva
accolto la mia vicinanza, ed io ero stato tanto forte da resistere al richiamo del suo collo.
“Non sarà più difficile” dissi con soddisfazione.
“E’ stata dura?” Si preoccupò
“Non terribile come immaginavo. E per te?” chiesi.
“No, niente affatto terribile…. Per me”.
La pelle del mio viso a contatto con il suo corpo si era riscaldata. Avvicinai la sua mano, che sfiorò
delicatamente il mio viso. Adesso mi guardava a bocca aperta, più che sorpresa, sembrava
soddisfatta.
“Resta lì” sussurrò. E io mi trasformai in una statua. Chiusi gli occhi, facendo attenzione allo
spostamento d’aria causato dai suoi gesti. Non potevo permettermi di farmi cogliere di sorpresa.
Bella iniziò ad accarezzarmi, sfiorò ogni parte del mio viso, lasciando per ultime le mie labbra. Il
tocco bollente dei suoi polpastrelli infuocò il mio corpo, mi sentivo vibrare dall’emozione. Quando
giunse alle mie labbra, automaticamente le schiusi, come per permetterle di sfiorarle meglio. Non
riuscivo più a gestire la situazione e decisi di aprire gli occhi, per aiutarmi con qualche senso extra.
“Vorrei… vorrei sentissi la complessità… la confusione… che provo. Vorrei potessi comprendere”.
Le spiegai come sentissi sete di lei, ma di come a quella sete si fosse aggiunta quella nuova, latente,
sensazione, una fame difficile da interpretare. Più forte di qualunque dipendenza, più forte di
qualunque emozione, più forte di qualsiasi desiderio. Mi sentivo più umano che mai, ma non ero
sicuro che un umano avrebbe potuto provare le stesse sensazioni con la medesima intensità con cui
le percepivo io.
“Non so come fare a starti accanto in questo modo” ammisi “Non sono sicuro di esserne capace”.
Bella si avvicinò lentamente a me e pose il suo viso sul mio petto. Come se fosse il gesto più
naturale, le strinsi intorno le mie braccia, facendo attenzione all’intensità del movimento, e mi
abbandonai ad un altro interminabile e insieme troppo breve abbraccio.
“Sei molto più bravo di quanto tu voglia credere” mi incoraggio.
Ed effettivamente oggi avevo scoperto che da qualche parte, anche se erano stati a lungo sepolti,
c’erano degli istinti ancora totalmente umani, che si facevano strada per riaffiorare.
La luce stava calando e Bella doveva rientrare. Decisi di mostrarle una delle mie poche abilità
ancora nascoste,
“Posso mostrarti il modo in cui io mi sposto nella foresta?” nascosi un ghigno, conoscendo la sua
riluttanza verso le alte velocità.
“Ti trasformi in un pipistrello?” ironizzò. Ma forse avrebbe preferito.
Non potei trattenere una risata “Questa l’ho già sentita!”.
La invitai a saltare in spalla e appena fu salda iniziai a sfrecciare per la foresta, schivando gli alberi
ad una velocità impensabile per un essere umano. Per me il sottobosco scuro era in realtà nitido,
l’aria mi accarezzava dolcemente il viso, e scendeva fresca nei miei polmoni. Osservavo le piccole
foglie verdi degli alberi, le loro striature, i piccoli insetti che li abitavano. Mi sentivo un tutt’uno
con la natura.
Mi ero quasi dimenticato di avere Bella in spalla. Mi fermai “Elettrizzante eh?” dissi con
entusiasmo, ma Bella non rispose ed esitò a scendere dalle mie spalle. Le sue braccia e le gambe
avvinghiate attorno al mio corpo sembravano pietrificate, immobili nella loro presa sicura.
“Bella?” Mi preoccupai dell’assenza di reazioni.
“Credo di dovermi sdraiare” sussurrò.
Risi della sua reazione. Non era sempre facile ricordarsi come da umani la vista fosse lenta ed
oscurata. Non era stata un grande idea.
Cercai, con qualche consiglio, di aiutarla a riprendere le forze e a recuperare l’equilibrio. Aveva una
pessima cera.
“Sei pallida come un fantasma” la presi in giro “Anzi, sei pallida come me” ironizzai.
Pian piano la sua pelle stava riprendendo colore ed iniziai a stuzzicarla sottolineando le mi capacità.
“Spaccone” mi ripeté più volte, contenta di far parte di quel gioco, di poter scherzare sulla mia
natura, sul mio mondo.
Ormai mi sentivo così sicuro e in sintonia con lei, che decisi di cedere alla più forte delle mie
tentazioni. Decisi di provare la più umana delle esperienze. Ormai avevo sconfitto il mostro e non
avevo più motivi di privarmi di quella esperienza unica e indimenticabilmente nuova.
“Pensavo a una cosa che vorrei provare” le sussurrai prendendo il suo viso tra le mani.
Bella smise di respirare.
Esitai un istante, cercando di recuperare tutto il mio autocontrollo,
Mossi il mio viso verso il suo, lentamente, e appoggiai le mie fredde labbra marmoree sulle sue. Le
sentii scottare dal calore, le sue labbra si stavano modellando sulle mie. Era l’emozione più forte
della mia lunga esistenza. Non avevo mai sentito il mio corpo desiderare qualcosa a tal punto. La
mia mente era frastornata da quella sensazione fortissima, più potente di qualunque magia.
Il suo battito era accelerato, il respiro affannato. Sentii intrecciarsi le sue dita ai miei capelli, le sue
labbra si dischiusero e il calore e il profumo del suo fiato inebriarono il mio respiro.
Il mostro si era svegliato! Strinsi i pugni e immobilizzai ogni mio singolo muscolo. Il suo sangue
aveva un richiamo irresistibile. Riapparve l’immagine che Alice mi aveva mostrato.
Recuperai tutte le mie forze per resistere all’istinto ed allontanare il suo viso con delicatezza. Mi
allontanai di qualche centimetro, pietrificato, cosciente del pericolo che avevamo corso.
“Ops” fu la risposta di Bella.
“Ops è troppo poco” mi infuriai.
“Devo?” cercò di allontanarsi per lasciarmi spazio, ma la tenevo imprigionata dal mio sguardo,
Dovevo resistere, non volevo allontanarmi, dovevo solo recuperare il controllo. Quel momento
perfetto non poteva perdersi così.
“No, è sopportabile. Per favore, aspetta un attimo” le chiesi calmo.
Attesi di sentire il mio istinto - quello del mostro - cedere il passo al desiderio umano, ma non per
questo più razionale.
“Ecco” dissi soddisfatto.
“Sopportabile?” si preoccupava per me.
Risi di felicità “Sono più forte di quanto pensassi. È una bella notizia”.
Mi alzai in piedi e con naturalezza le porsi una mano per darle un appoggio. Ormai il contatto tra di
noi non era più un tabù.
Presi le chiavi del pick-up e la convinsi a lasciarmi guidare fino a casa. Dopo la fatica che mi era
costata per mantenerla in vita, non avrei di certo potuto permetterle di metterla a rischio lasciandola
guidare.
 
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